Si chiama vemurafenib il nuovo farmaco contro la leucemia a cellule capellute che, per la prima volta al mondo, è stato sperimentato con successo a Perugia in pazienti che non rispondevano più alla chemioterapia convenzionale.
Il nuovo rivoluzionario farmaco è stato elaborato dall’Istituto di ematologia di Perugia. Lo studio, ideato dai professori Falini e Tiacci, è pubblicato dal prestigioso New England Journal of Medicine.
Coordinato dal professor Brunangelo Falini, direttore della struttura complessa di ematologia con trapianto di midollo osseo, lo studio è stato pubblicato il giovedì 29 ottobre 2015, dalla più influente rivista scientifica in assoluto, il New England Journal of Medicine.
“Questo importante risultato – comunicano dall’Università di Perugia – è stato ottenuto anche grazie al supporto economico dell’Associazione italiana ricerca sul cancro, nonché grazie al prestigioso finanziamento che l’European research council (Erc) ha concesso al professor Enrico Tiacci – primo autore del lavoro –, per mettere a punto nuove cure contro la leucemia a cellule capellute”.
Nel dettaglio – La causa di questo tipo di leucemia era rimasta ignota per più di 50 anni, fino a quando nel 2011 i medesimi Falini e Tiacci ne hanno scoperto la causa, identificandola nella mutazione del gene BRAF. Oggi, dopo solo 4 anni, i medici perugini hanno realizzato il passo successivo, il più importante per i pazienti, cioè la sperimentazione di un farmaco “intelligente” (il vemurafenib, appunto) che blocca solo il gene BRAF mutato e che, semplicemente preso per bocca, uccide selettivamente le cellule leucemiche, risparmiando quelle normali. Questa è una differenza di enorme rilievo rispetto alla chemioterapia convenzionale che, invece, uccide indistintamente tutte le cellule, provocando effetti tossici collaterali. Il farmaco sperimentato dai ricercatori perugini, al contrario, si è rivelato poco tossico e molto attivo in quasi tutti i azienti trattati, nonostante fossero diventati refrattari alle terapie convenzionali.
“Scoprire la causa di una malattia e tradurla in una nuova terapia – sottolineano Falini e Tiacci – non solo è la missione del medico ricercatore, ma rappresenta anche la realizzazione della moderna ‘medicina di precisione’ che caratterizza e colpisce i punti deboli specifici di ogni particolare tumore in ogni particolare paziente”.